Uno spazio di pensiero condiviso, dove le esperienze si intrecciano con le riflessioni, e le domande generano nuove prospettive. Il nostro blog è un crocevia di idee in continua evoluzione, un laboratorio aperto dove raccogliamo spunti, approfondimenti e storie dalla nostra pratica professionale. Qui troverete frammenti di percorsi incontrati, ostacoli superati e scoperte inattese; non un luogo di risposte definitive, ma un invito a pensare insieme, a nutrire la curiosità e ad esplorare le infinite sfumature del lavoro sociale e della supervisione professionale.
data di pubblicazione: 08/05/2025
La dimensione emotiva rappresenta un elemento fondamentale nel lavoro degli e delle assistenti sociali. Quotidianamente, noi professionisti ci confrontiamo con situazioni complesse che generano un intenso carico emotivo. In questo contesto, la supervisione professionale emerge come uno strumento essenziale per elaborare le emozioni e prevenire il burnout, migliorando sia il benessere degli operatori che la qualità dei servizi offerti.
La supervisione professionale non è solo un momento di confronto metodologico, ma uno spazio protetto dove le emozioni possono essere liberamente espresse ed elaborate. Come evidenziato da una nostra ricerca recente, questo ambiente sicuro permette ai professionisti di condividere esperienze emotive intense, sviluppare strategie efficaci per gestire situazioni complesse, ridurre il senso di isolamento professionale e rafforzare la propria identità professionale, prevenendo così il burnout.
Un'assistente sociale intervistata afferma: "La supervisione ha avuto il grande merito di averci offerto la possibilità di esprimere liberamente le nostre emozioni e di osservare quanto molte di queste fossero comuni a molti di noi." Questa testimonianza evidenzia come la condivisione in gruppo possa trasformare esperienze potenzialmente isolanti in momenti di crescita collettiva.
Una supervisione ben strutturata offre numerosi vantaggi sia per i professionisti che per le organizzazioni. Gli operatori beneficiano di un supporto professionale continuo, sviluppano competenze emotive, imparano a gestire efficacemente lo stress e godono di un confronto strutturato che favorisce la loro crescita personale e professionale. Le organizzazioni, dal canto loro, assistono a un miglioramento della qualità del servizio, ottimizzano le risorse, riducono il turn-over e sviluppano buone prassi, creando un ambiente di lavoro più positivo e produttivo.
Il percorso di supervisione non è tuttavia privo di ostacoli. Tra le principali criticità emerge la paura del giudizio, come testimonia un'altra professionista: "Ero molto diffidente e provavo molta vergogna perché temevo di essere sminuita e giudicata". Si manifesta anche una diffusa vulnerabilità professionale: "C'è la paura di mettersi a nudo per paura del giudizio e del pregiudizio soprattutto perché non hai la certezza che le tue emozioni verranno accolte". Queste resistenze possono essere superate attraverso la gradualità nell'apertura, il supporto del gruppo e l'azione facilitatrice del supervisore, che crea le condizioni per un'esperienza trasformativa.
Un approccio efficace alla supervisione professionale deve essere strutturato, con incontri periodici programmati, sessioni individuali e di gruppo, focus su casi specifici e supporto emotivo. Deve inoltre essere personalizzato, con interventi modulabili sulle esigenze, piani di supervisione personalizzati e un monitoraggio costante dei risultati. Infine, richiede una valutazione continua, mediante schede di rilevazione post-sessione, feedback strutturati, report periodici e incontri di verifica.
La ricerca evidenzia anche la necessità di ripensare la formazione universitaria, integrando moduli specifici sulla gestione delle emozioni, sviluppando laboratori esperienziali e implementando tirocini supervisionati con focus emotivo. Sul fronte organizzativo, è fondamentale innovare le politiche, riconoscendo formalmente il tempo dedicato alla supervisione, fornendo spazi adeguati e sviluppando strategie orientate al benessere professionale.
La supervisione rappresenta quindi un elemento strategico per lo sviluppo e il mantenimento della qualità nei servizi sociali. Non si tratta solo di uno strumento di supporto professionale, ma di un vero e proprio laboratorio di crescita personale e professionale. In questo spazio, le emozioni vengono riconosciute non più come ostacoli da superare, ma come preziose fonti di informazione e strumenti di lavoro. Investire nella supervisione significa investire nel benessere dei professionisti e, di conseguenza, nella qualità dei servizi offerti ai cittadini, creando un circolo virtuoso di cura che dal professionista si estende alla comunità.
L’Arte dell’Empatia: un percorso essenziale per gli Assistenti Sociali
data di pubblicazione: 10/06/2025
Torniamo a parlare di una delle pratiche più amate (e temute) dagli Assistenti Sociali: la Supervisione.
Sì, proprio quella. Quella che all’inizio ci sembrava una riunione in più tra le mille già in agenda, e che invece si è rivelata un salvagente emotivo, uno spazio che non è solo un'occasione per analizzare i casi: è soprattutto un rifugio sicuro, dove gli Assistenti Sociali possono finalmente dare voce e forma ai propri vissuti emotivi, affrontare le sfide quotidiane e rinnovare la propria consapevolezza professionale.
Perché, diciamocelo, lavorare nel sociale è un po’ come essere dentro una lavatrice emotiva a centrifuga continua: ascolti, accompagni, cerchi soluzioni, e intanto ti porti a casa emozioni che non sono le tue ma che, ops, ti ritrovi a rimuginare alle 2 di notte.
In questo spazio di confronto e riflessione, l’empatia gioca un ruolo centrale, non solo come capacità rivolta all’altro, ma anche come strumento per comprendere sé stessi, riconoscere le proprie reazioni, e rielaborare quelle che emergono nella relazione d’aiuto con le persone.
Essere empatici, non è un riflesso automatico tipo “oh poverino” ma significa imparare a stare con le proprie emozioni senza esserne travolti, distinguere tra ciò che ci appartiene e ciò che nasce nell’incontro con l’altro. In questo senso, tra tutti gli illustri autori dell’argomento, ci fa piacere condividere il pensiero filosofico di Laura Boella, in quanto offre chiavi di lettura preziose per il nostro lavoro: l’empatia, nella sua visione, non è solo un sentire spontaneo, ma un esercizio consapevole, etico e trasformativo (e già solo per dirlo tutto senza impappinarsi serve concentrazione).
Boella ci accompagna a riscoprire l’empatia come strumento di relazione e di crescita interiore, capace di rendere più profonde e autentiche le connessioni umane, anche (e soprattutto) quando si lavora con la sofferenza, la fragilità e il cambiamento che implica ampliare la propria esperienza interiore per accogliere, senza invadere, quella altrui. È, come lei stessa lo definisce, “il miracolo e il paradosso: fare esperienza di qualcosa che non è nostro, ma che ci cambia profondamente”. Magia? Quasi
L’empatia, nella prospettiva di Boella, è una competenza da coltivare attraverso la pratica, anche attraverso errori, affinando la capacità di entrare in relazione senza annullarsi né schiacciare l’altro. Che altro dire: è uno strumento potente per costruire legami significativi, restituire dignità e favorire percorsi di cambiamento.
Per noi Assistenti Sociali (ma anche educatori, counselor, insegnanti, e tutti quelli che lavorano con le persone, insomma), l’empatia ci è utile per capire davvero l’altro, ma anche per capire noi stessi, riconoscere quando ci stiamo facendo il “carico emotivo extra” e magari fermarci un attimo prima di esplodere.
Insomma: l’empatia non è (solo) un superpotere da elargire a pioggia. È una competenza che si allena, si affina, si aggiusta strada facendo. E a volte, sì, si sbaglia pure. Ma fa parte del gioco.
E quindi???
Quindi si riparte da qui: da una riflessione condivisa, da qualche lettura che ci fa mettere in discussione (sì, anche Laura Boella), e da quelle domande che ogni tanto è bene lasciarci ronzare in testa.
Ma occorre dirci anche che possiamo leggerne, parlarne, confrontarci, cercare definizioni migliori, ma c’è un punto in cui la teoria si ferma e inizia la pratica: perché, in fondo, l’empatia, prima di essere spiegata… va vissuta.